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A Philip Roth, il Nobel lo diamo noi!

È stato uno dei più noti e premiati scrittori statunitensi della sua generazione, considerato non solo tra i più importanti romanzieri ebrei di lingua inglese – una tradizione che comprende Saul Bellow, Henry Roth, E. L. Doctorow, Bernard Malamud e Paul Auster – ma anche, secondo il critico Harold Bloom, il maggiore narratore statunitense dopo Faulkner. Per Bloom, «Roth è il culmine di un enigma irrisolto nella letteratura ebraica dei secoli XX e XXI. Le complesse influenze di Kafka e Freud e il malessere della vita ebraico-statunitense produssero in Philip un nuovo genere di sintesi».
È conosciuto in particolare per il racconto lungo Goodbye, Columbus, poi unito ad altri 5 più brevi in volume (premiato con il National Book Award), ma è diventato famoso con Lamento di Portnoy, da alcuni considerato scandaloso. Da allora si è ritagliato un posto di grande interesse e attesa in occasione dell’uscita di ogni titolo, forte di una produzione ampia e costante e grazie allo scontro tra estimatori e detrattori che lo accusano di utilizzare un linguaggio troppo aperto e scurrile.
È stato proposto più volte per il Premio Nobel, che non ha mai ottenuto, pur essendo stato premiato con altri riconoscimenti.
I suoi romanzi tendono a essere autobiografici, con la creazione di alter ego (il più famoso dei quali è Nathan Zuckerman, che appare in diverse opere), con personaggi che portano il suo vero nome e persino usando personaggi che si chiamano Philip Roth, ma non sono lui (come in Operazione Shylock). Oltre alla vena autobiografica, i suoi ritratti famigliari e di quartiere diventano fortemente esemplari dell’umanità della zona (la periferia a ovest di New York e soprattutto Newark) e dell’epoca, tanto da contribuire a dipingere un’identità personale e collettiva.

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